Osservo ciò che sta accadendo cercando di distaccarmi da questa routine quotidiana, da questa inutile ripetitività delle azioni che le priva di un significato intrinseco e le rende quasi banali.
Osservo i miei pensieri cercando di visualizzarli uno alla volta, esaminarne il soggetto, risolvere gli innumerevoli problemi che vi si annidano e li rendono spesso indistricabili. Lentamente, sciolgo ogni nodo, facendo molta attenzione a non romperli. Li osservo. Fragili, trasparenti e sottili giacciono in fronte a me, finalmente in ordine. Ognuno di loro riguarda un argomento diverso, sono grandi e piccoli a seconda della loro importanza, o meglio, dell'importanza che io decido di dare. Quelli più piccoli sono stranissimi: assomigliano a cristalli di neve, e anche se la loro dimensione è quasi insignificante, hanno decorazioni indescrivibili e forme particolari. Riguardano spesso discorsi, frasi, immagini di persone incontrate che hanno lasciato una traccia nella mia mente, un debole indizio di un animo ancora inesplorato, e proprio per questo terribilmente complicato e sconosciuto. I pensieri più grandi, invece, hanno la forma di lunghe matite colorate, ciascune di una tonalità diversa: si arrotolano spesso su se stesse, e si muovono senza sosta, disegnando misteriosi scarabocchi. Scrivono di un amore, di un quadro speciale, di una amicizia in crisi, di un dilemma da risolvere, di una preoccupazione per il futuro, e di infiniti altri argomenti.
In fondo a tutto questo, ai margini del mio cervello, c'è qualcosa di strano: sembra uno scrigno vuoto, aperto, in un angolo. E' il vuoto che mi sento dentro, a cui ho assegnato un posto speciale, e che non fa altro che aspettare. Aspetta. Intanto i pensieri cambiano colore, forma, argomento, si arrotolano e coincidono, spariscono, nascono. Ma lo scrigno rimane fermo, impassibile, immobile. Aspetta.
Dovrò mettermi anche io ad aspettare.
Osservo i miei pensieri cercando di visualizzarli uno alla volta, esaminarne il soggetto, risolvere gli innumerevoli problemi che vi si annidano e li rendono spesso indistricabili. Lentamente, sciolgo ogni nodo, facendo molta attenzione a non romperli. Li osservo. Fragili, trasparenti e sottili giacciono in fronte a me, finalmente in ordine. Ognuno di loro riguarda un argomento diverso, sono grandi e piccoli a seconda della loro importanza, o meglio, dell'importanza che io decido di dare. Quelli più piccoli sono stranissimi: assomigliano a cristalli di neve, e anche se la loro dimensione è quasi insignificante, hanno decorazioni indescrivibili e forme particolari. Riguardano spesso discorsi, frasi, immagini di persone incontrate che hanno lasciato una traccia nella mia mente, un debole indizio di un animo ancora inesplorato, e proprio per questo terribilmente complicato e sconosciuto. I pensieri più grandi, invece, hanno la forma di lunghe matite colorate, ciascune di una tonalità diversa: si arrotolano spesso su se stesse, e si muovono senza sosta, disegnando misteriosi scarabocchi. Scrivono di un amore, di un quadro speciale, di una amicizia in crisi, di un dilemma da risolvere, di una preoccupazione per il futuro, e di infiniti altri argomenti.
In fondo a tutto questo, ai margini del mio cervello, c'è qualcosa di strano: sembra uno scrigno vuoto, aperto, in un angolo. E' il vuoto che mi sento dentro, a cui ho assegnato un posto speciale, e che non fa altro che aspettare. Aspetta. Intanto i pensieri cambiano colore, forma, argomento, si arrotolano e coincidono, spariscono, nascono. Ma lo scrigno rimane fermo, impassibile, immobile. Aspetta.
Dovrò mettermi anche io ad aspettare.
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