domenica 1 maggio 2011

Si aprono crepe a lungo ignorate che squarciano la pelle olivastra. Non riesce a tenere aperti gli occhi per il dolore: madida di sudore, cerca di chiudere i lembi delle ferite. Le fessure distruggono ogni integrità morale, lasciano il libero spazio agli urli sempre più forti. L'irrazionalità prende il sopravvento e scorre creando bagliori vermiglio. Le emozioni incontrollate risuscitano il cranio sopito, troppo a lungo in preda alla dominazione tirannica di stanchi neuroni della corteccia orbito-frontale.
 L'identità di un uomo consiste in una sequenza di incoerenze che, tra di loro, possono solo fingere di avere qualcosa in comune.
L'urlo invade l'intera stanza. Il vetro delle finestre trema. Il vaso di violette viene attirato dal lucido pavimento di marmo. Si infrange: terracotta, sangue. Un frammento entra nella ferita, divorato dal cratere dolorante. Lei alza un braccio, cercando di muoverlo verso la maniglia della porta. In ginocchio, trema e il si accascia violentemente a terra, il naso livido scosso da un fremito. Prova a muovere la mano, a ruotare il pomello, allungando le dita.
Vorrebbe chiedere aiuto. - La mia speranza è anche il mio carnefice. - sussurra. Poi guarda in basso: nell'altro braccio stringe in pugno una chiave. Lentamente dischiude la mano e la osserva.
Un altro urlo. E' solo lei a torturare se stessa.

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